Questione di fiducia

Fiducia.
Scelgo di partire da qui. Da uno di quei pilastri che cerco di non perdere mai di vista quando personalmente mi trovo faccia a faccia con un problema, con un mio dolore, o un dolore altrui.
Non faccio riferimento ad una fiducia riposta nell’altro o in se stessi, per quanto anche queste siano declinazioni importanti del concetto.
Parlo di una fiducia “più alta”, di quel poter arrivare a percepire che quel che ci accade e che accade intorno a noi ha un suo senso e che, se riusciamo a riconoscerlo e a fargli spazio, abbiamo la possibilità di trovare il modo di affrontarlo. Il nostro personale modo di affrontarlo.
E, salendo ancora e lavorando su di sé, è incredibilmente potente arrivare ad abbandonare l’idea di dover essere qualcosa per forza, lasciando spazio alla fiducia di essere già quello che dobbiamo essere e di svilupparci verso quello che potremo essere. Non siamo forse spesso schiacciati dalla convinzione di dover essere o diventare qualcosa? Qualcosa di giudicato migliore? Questo non vuol essere in alcun modo un suggerimento ad autorizzarsi a dire, in ogni circostanza, “ma io sono fatto così”. Ma, al contrario, ha a che fare con il prendere contatto con quello che siamo al di là di ogni forma di giudizio per portare a compiersi il nostro potenziale.
Chandra Livia Candiani, poetessa italiana, afferma “bisognerebbe fare come i bambini e gli animali che fanno tutto quello che fanno non apposta, cioè lo fanno senza un perché. Lo fanno e basta perché è la loro natura”.