Non è raro che in seduta io nomini la Tenerezza.
Nei momenti probabilmente in cui meno ce lo si aspetterebbe.
Nei momenti in cui si parla di tensioni, di rabbia per dinamiche di relazione, di accuse, di dolore.
E io lì la propongo, piano piano.
Questa sfumatura emotiva che troppo spesso abbiniamo solamente a bambini, anziani o cuccioli.
Questa sfumatura emotiva di cui si parla proprio poco.
Eppure la tenerezza, nel suo essere così delicata e gentile, può avere una potenza incredibile! Ci può portare oltre, ci può aprire visioni fino a quel momento impossibili.
E cosa vuol dire?
Vuol dire che se io sto soffrendo perché una relazione a me cara mi crea dolore, se penso che l’altro mi stia facendo male o me ne abbia sempre fatto, che mi abbia chiuso (ma ricordiamoci che, in parte, “ci siamo fatti chiudere”) in una dinamica in cui non sto bene, posso provare a fermarmi un attimo e a gettare lo sguardo oltre.
A gettarlo oltre il ruolo che quella persona ricopre per me.
Se riesco a vedere che quella persona è, oltre che mia madre, mio padre, mio fratello e così via, una persona appunto, riesco forse a contattare quella tenerezza per il suo essere umana.
Tenerezza per i suoi meccanismi, per le sue fragilità, per tutte quelle trappole che ha affrontato lungo il suo percorso e di cui magari non ha preso consapevolezza.
Tenerezza per ciò di cui forse non si accorge perché mentre ci fa male, mentre ci ripete ancora una volta una frase che ci fa impazzire, è a sua volta intrappolata nelle sue gabbie.
Ed è lì che se contattiamo la tenerezza forse quella rabbia, quel dolore, possono sciogliersi. Possono trovare altre vie da percorrere.
Questo non funziona e non vale per ogni situazione o relazione. Ma vi assicuro che per qualcuna è la chiave di volta. E non solo per le relazioni con gli altri.
Ma attenzione: la capacità di contattare la tenerezza per il mondo esterno è inscindibilmente collegata con la possibilità di sentire tenerezza e accoglienza per noi stessi… e voi che rapporto avete con la tenerezza?